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Bob Mould

https://www.inkoma.com/k/2600

Live @ Init, Roma, 15 dicembre 2009, ingr. 15 euro

 | federico immigrato e rifugiato
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Amammo troppo gli Hüsker Dü. Roba che a rivedere finalmente dal vivo Bob Mould ci viene nostalgia persino della sua mini pappagorgietta degli anni '80. Di sicuro il nostro ora è in una forma smagliante, quasi irriconoscibile rispetto alle foto promozionali di Zen Arcade o New Day Rising, due dischi assolutamente epocali. Ora nelle funzioni di certi i-phone pare esserci anche l'applicazione che consente di riconoscere e codificare automaticamente le canzoni fischiettate o emesse da altre fonti vicino all'utente, o no?
Mi sa che ho ascoltato talmente tanto gli Hüsker Dü e gli Sugar che qualunque i-phone entrerà nella mia cameretta anche dopo il prossimo olocausto nucleare si impallerà comunque e a prescindere su pezzi madornali come I APOLOGIZE, o forse riprodurrà direttamente l'ologramma in persona di Bon Mould cazzonesò.
Non entreremmo mai nelle discussioni tra cd e vinile, ma  al pari dei Black Flag (sempre su SST) penso che non esista altro gruppo hardcore che su 33 giri renda un universo a parte, come se il graffio della puntina sia un membro effettivo nel suono eterno di questi gruppi. Vabbè ma questi sono cazzi nostri.
Mi sono calati talmente tanti miti nel mondo del rock, che nei giorni precedenti al concerto mi preparavo a tutto, anche ad una sua esibizione solo chitarra e voce, cose che di solito rifuggo ostinatamente.
In realtà, all'Init di Roma cosí è stato. Salito sul palco verso le 23e30, dopo l'apertura di un giovane cantautore, che a noi ha ricordato persino Billy Bragg ma non quale fosse il suo nome (- era Stiv Cantarelli, ndk), Mould ha concentrato principalmente nella prima mezz'ora i brani del suo nuovo repertorio tra cui spicca il singolone ultraradiofonico I'm sorry babe.
La cosa più impressionante del set è l'intensità e la foga con cui il nostro, ora incredibilmente palestrato, ha sparato ad una velocità impressionante e praticamente senza interrompersi mai tutta la parte più recente della sua discografia solista, come se l'attesa quasi millenaristica del folto pubblico (tantissimi gli ultratrentenni) sotto il palco per il momento dei ricordi collettivi lo spronasse ad arrivare al sodo.
Come ha cambiato chitarra a metà scaletta, si è capito che era arrivato al momento della lacrima, sinceramente fino a quel momento avrebbe anche potuto esserci Apicella.
Una versione intima e solitariacustica di mostri sacri come Make no sense at all ci sarebbe anche potuta stare, anzi ci avrebbe ben disposto. Come commentava giustamente una vecchia conoscenza dei Dead Cigarettes, il nostro ha optato invece per la caciara e la distorsione dei vecchi tempi come se ci fossero ancora un batterista e un bassista con i baffi a manubrio.
Il tutto però ha dato ancora di più la sensazione della mancanza di qualcosa, e ingolfato la nostra predisposizione al tunnel della nostalgia, che dopotutto per un gruppo che si chiama TI RICORDI? vale doppio.
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